mercoledì 27 luglio 2011

un bel lavoro?


ALL'UMANITARIA

Impara l'arte del pane:
qui bastano ottanta ore

Da tutto il mondo per seguire il prof Marinoni: i corsi per fare un antico (e richiestissimo) mestiere

Cesare Marinoni al corso (Fotogramma)
Cesare Marinoni al corso (Fotogramma)
A i tempi di Dante il pane altrui sapeva di sale. Era una metafora. Oggi invece il pane altrui è buonissimo e da un pezzo ci siamo abituati a lasciare la tradizionale michetta per variare le nostre esperienze sul campo. Complice la globalizzazione, gli orizzonti si sono aperti oltre il territorio nazionale: sono di casa la baguette francese, la pyta greca, il pane di segala nordico, l'arabo da kebab, il matzah azzimo della tradizione ebraica, il tandoori naan indiano. Un solo cibo universale. Occasione anche di dialogo interculturale. È quel che accade alla Società Umanitaria di via San Barnaba, che nel nome del pane organizza un corso molto melting pot. Seguendo le tracce del fondatore, il filantropo Prospero Moisé Loria, l'Umanitaria ha sempre avuto come obiettivo di «operare per l'elevazione professionale, morale e intellettuale dei lavoratori». Parole dello statuto originario, 1893, che ancor oggi si incarnano nelle azioni dell'ente morale: in primo piano le scuole artigianali.


Nel 1921 era stata aperta anche una scuola professionale per panettieri e pasticceri, chiusa a causa della guerra e riaperta nel 2009. Oggi, dopo essere stata ospite di altre location, il ritorno in sede: da aprile in Umanitaria è allestito un laboratorio di produzione del pane a scopo didattico dove si svolgono regolari lezioni. Dai corsi base di 80 ore, per imparare l'uso delle attrezzature e dei materiali, a quelli più specializzati di 200 ore. Unico requisito per partire la presenza di almeno 12 allievi. «Ho iniziato a insegnare qualche anno fa con il gruppo giovani della Federazione Italiana Panificatori - racconta uno dei docenti, Cesare Marinoni, famiglia che a Milano lavora nel settore da 5 generazioni -. Ora mi ha preso una vera passione. I prodotti li consumano i ragazzi, le eccedenze le portiamo alle mense dei poveri». E come va il lavoro, agli scolari? Bene, dicono i dati forniti dalla segreteria dell'istituzione: sulle 220 persone che hanno seguito finora il corso circa il 60% ha trovato impiego. Intorno ai tavoli, letteralmente con le mani in pasta, si affolla un gruppetto eterogeneo, tante lingue, tanti colori, tanta allegria e voglia di imparare.
Qui si impara a fare il pane
Qui si impara a fare il pane   Qui si impara a fare il pane   Qui si impara a fare il pane   Qui si impara a fare il pane   Qui si impara a fare il pane   Qui si impara a fare il pane   Qui si impara a fare il pane


Il più giovane è un ragazzo milanese di 17 anni, il più agé un signore cubano di 47. Si chiama Rafael, ha studiato economia: è arrivato in Italia dieci anni fa inseguendo un amore, poi tanti mestieri, infine un problema di cuore che gli impedisce lavori pesanti. Sogni? «Sono disoccupato. Desidero lavorare e avere una vita tranquilla». Obiettivo che unisce i partecipanti, in arrivo da tutt'Italia ma anche dalla Polonia, dal Nicaragua, dalla Tunisia, dalla Sierra Leone. Questa è la terra d'origine di Chernur, 22 anni, che vorrebbe aprire il suo forno a Varese dove vivono i genitori.


Nicaraguense sposata a un italiano, una figlia, la signora Orieta è entusiasta: «Abbiamo insegnanti che trasmettono competenza ed energia. Questo è uno stage per trovare un'occupazione, magari nel mio paese». L'impiego se lo immagina all'estero Carlo, 27 anni, milanese: «Ho fatto diversi mestieri, poi ho scoperto il mondo gastronomico: vorrei studiare pasticceria e tentare la sorte a New York». Tra francesini e ferraresi, focacce e trecce, grissini e tartarughe, il profumo del pane appena sfornato invade l'ambiente. Un linguaggio che non ha confini.
Chiara Vanzetto
12 luglio 2011(ultima modifica: 13 luglio 2011 12:22)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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