Ci risiamo. Il vento forte della grande speculazione finanziaria di oltreoceano, alla ricerca di forti rendimenti dopo le crisi da “cartolarizzazione di massa” dei mutui subprime che hanno provato la nota “tempesta perfetta” del 2008 e del 2009, riprova uno schema che sembra funzionare per le deboli economie europee (non che quella americana sia forte, in questo momento!).
Prima si muovono le Agenzie di Rating, che mettono sotto osservazione “all’improvviso” la situazione dei conti di un paese sovrano, poi si mette sotto osservazione il rating delle imprese quotate per il relativo “downgrade”, e così le Borse iniziano il “rally” inverso, con ribassi continui e consistenti. Il tutto naturalmente, a vantaggio dei fondi hedge e dei cosiddetti “shortisti”, quelli che speculano in borsa verso i ribassi forti e pronti poi al riacquisto a livelli minimi delle quotazioni dei titoli.
Se poi il tutto viene condito con profili di analisi “politica” sulla governabilità di un Paese, il quadro è presso che completo per decretare il “pollice verso” speculativo sulla reputazione economica di un Paese e delle sue aziende “nazionali”.
Prima si muovono le Agenzie di Rating, che mettono sotto osservazione “all’improvviso” la situazione dei conti di un paese sovrano, poi si mette sotto osservazione il rating delle imprese quotate per il relativo “downgrade”, e così le Borse iniziano il “rally” inverso, con ribassi continui e consistenti. Il tutto naturalmente, a vantaggio dei fondi hedge e dei cosiddetti “shortisti”, quelli che speculano in borsa verso i ribassi forti e pronti poi al riacquisto a livelli minimi delle quotazioni dei titoli.
Se poi il tutto viene condito con profili di analisi “politica” sulla governabilità di un Paese, il quadro è presso che completo per decretare il “pollice verso” speculativo sulla reputazione economica di un Paese e delle sue aziende “nazionali”.
Questa premessa è doverosa per capire l’ennesima uscita di Moody’s, una delle più autorevoli agenzie di rating internazionali e americane: autorevolezza, per intenderci, di chi ha analizzato bene la situazione economica, per poi vedere la grande crisi finanziaria del 2008 esplodere senza particolari avvertimenti!
Prima di declassare mercoledì 6 luglio il Portogallo, mettendone in discussione la capacità di far fronte ai propri debiti, Moody’s aveva messo sotto osservazione venerdì 17 giugno scorso il debito sovrano dell’Italia per un possibile declassamento dall’attuale Aa2. I principali fattori che hanno indotto la revisione del rating dell’Italia sono per Moody’s riconducibili alla debolezza della crescita economica del Paese, ai rischi del consolidamento dei piani fiscali per ridurre lo stock del debito pubblico, e i rischi “da contagio” dalle economie europee con alti livello di debito ( si veda Grecia, Spagna).
Prima di declassare mercoledì 6 luglio il Portogallo, mettendone in discussione la capacità di far fronte ai propri debiti, Moody’s aveva messo sotto osservazione venerdì 17 giugno scorso il debito sovrano dell’Italia per un possibile declassamento dall’attuale Aa2. I principali fattori che hanno indotto la revisione del rating dell’Italia sono per Moody’s riconducibili alla debolezza della crescita economica del Paese, ai rischi del consolidamento dei piani fiscali per ridurre lo stock del debito pubblico, e i rischi “da contagio” dalle economie europee con alti livello di debito ( si veda Grecia, Spagna).
Come se ciò non bastasse, Moody’s nella giornata di lunedì 20 giugno, dopo il weekend della decisione di mettere sotto osservazione il debito pubblico italiano, ha lanciato un nuovo richiamo al nostro Paese,ponendo sotto osservazione anche i rating delle principali società pubbliche italiane per un eventuale downgrade. Nel mirino sono finite naturalmente l’èlite delle nostre grandi imprese pubbliche, come Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, trascinando al ribasso di borsa anche tutto il listino nazionale. Anche tutti i listini europei, naturalmente, hanno subito una giornata di passione, a causa del rinvio del piano di salvataggio della Grecia, ma in tale contesto Milano ha subito ancora una volta il ribasso più forte.
Lo schema seguito dagli operatori è semplice e collaudato: l’eventuale declassamento del rating del Paese si ripercuoterebbe immediatamente sui titoli del tesoro, che riempiono i portafogli, oltre che dei singoli privati investitori, anche delle banche e delle assicurazioni. E il pericolo di eventuali svalutazioni dei prezzi dei bond metterebbe a rischio la solidità di banche e compagnie di assicurazione, giustificando così i timori e la maggiore prudenza degli investitori.
Solo un mese fa, un’altra agenzia di rating la Standard & Poor’s aveva lanciato un avvertimento al nostro Paese analogo a quello di Moody’s e la Borsa di Milano avevo lasciato sul terreno oltre il 5 % di ribasso.
Solo un mese fa, un’altra agenzia di rating la Standard & Poor’s aveva lanciato un avvertimento al nostro Paese analogo a quello di Moody’s e la Borsa di Milano avevo lasciato sul terreno oltre il 5 % di ribasso.
Certamente, ora il contesto esterno non ha facilitato la tenuta dei listini, a per via della situazione sugli aiuti alla Grecia rinviati. Ma oltre a ciò, hanno pesato anche le parole (poi corrette in ritardo) del Presidente dell’Eurogruppo e Primo Ministro lussemburghese Juncker che aveva messo in guardia sui rischi specifici del nostro Paese nell’ipotesi di un default da parte della Grecia.
Insomma, tutti avvisano e parlano, ma in verità la situazione del nostro Paese è ben solida e sotto controllo, malgrado una crescita (che c’è seppur lenta) e una ricchezza privata pari a circa il 31,6% se rapportata al debito pubblico estero, meglio quindi di Germania (32,6%) e Francia (43%).
Nel 2011, se prendiamo a riferimento l’intero debito pubblico (nazionale ed estero), esso è pari in Italia al 67% della ricchezza privata, esattamente come in Francia e solo più alto che in Germania (62%), mentre in Grecia si arriva addirittura al 271% e in Irlanda al 190%.
Non a caso, uno dei massimi responsabili del Fondo Monetario Internazionale, lo spagnolo Josè Vinàls, all’agenzia Reuters ha dichiarato come, in termini di economia e stabilità finanziaria, i Paesi che nel mondo devono fare il lavoro più difficile per riportare le loro finanze a un livello ragionevole in rapporto al debito sono la Grecia, l’Irlanda, il Giappone e soprattutto gli Stati Uniti.
Se si considera la composizione del debito americano, questo è composto dal debito di persone fisiche e giuridiche, residenti o no, tra cui le banche centrali e gli investitori istituzionali, dal debito intragovernativo, detenuto dal sistema pensionistico pubblico e altri soggetti pubblici. A questa base già rilevante di composizione del debito, vanno aggiunti il debito di stati ed enti locali (come avviene nella contabilità pubblica europea), ed infine il debito delle due megafinanziarie immobiliari Fannie e Freddie, in quanto le loro obbligazioni, vendute come parte di titoli garantiti in tutto il mondo, sono coperte da Washington, non solo, anche il loro patrimonio mutui è garantito da Washington.
Quindi il risultato di tutta questa somma di debiti fa un bel 140% del PIL, con gli USA secondi solo al Giappone e pari alla Grecia!!
Ora, chiediamoci seriamente se la vera delicatezza della situazione globale delle economie debbano essere influenzate da questi “avvertimenti” di Moody’s che, da un lato, non rispecchiano la reale diversa situazione in cui versano le economie occidentali, europee e oltreatlantico. Dall’altro, a che punto sono le idee e le proposte di riforma dei sistemi finanziari e delle agenzie di Rating, dopo la crisi perfetta del 2008?
Rimaniamo in attesa della prossima riunione del Financial Stability Board.
Insomma, tutti avvisano e parlano, ma in verità la situazione del nostro Paese è ben solida e sotto controllo, malgrado una crescita (che c’è seppur lenta) e una ricchezza privata pari a circa il 31,6% se rapportata al debito pubblico estero, meglio quindi di Germania (32,6%) e Francia (43%).
Nel 2011, se prendiamo a riferimento l’intero debito pubblico (nazionale ed estero), esso è pari in Italia al 67% della ricchezza privata, esattamente come in Francia e solo più alto che in Germania (62%), mentre in Grecia si arriva addirittura al 271% e in Irlanda al 190%.
Non a caso, uno dei massimi responsabili del Fondo Monetario Internazionale, lo spagnolo Josè Vinàls, all’agenzia Reuters ha dichiarato come, in termini di economia e stabilità finanziaria, i Paesi che nel mondo devono fare il lavoro più difficile per riportare le loro finanze a un livello ragionevole in rapporto al debito sono la Grecia, l’Irlanda, il Giappone e soprattutto gli Stati Uniti.
Se si considera la composizione del debito americano, questo è composto dal debito di persone fisiche e giuridiche, residenti o no, tra cui le banche centrali e gli investitori istituzionali, dal debito intragovernativo, detenuto dal sistema pensionistico pubblico e altri soggetti pubblici. A questa base già rilevante di composizione del debito, vanno aggiunti il debito di stati ed enti locali (come avviene nella contabilità pubblica europea), ed infine il debito delle due megafinanziarie immobiliari Fannie e Freddie, in quanto le loro obbligazioni, vendute come parte di titoli garantiti in tutto il mondo, sono coperte da Washington, non solo, anche il loro patrimonio mutui è garantito da Washington.
Quindi il risultato di tutta questa somma di debiti fa un bel 140% del PIL, con gli USA secondi solo al Giappone e pari alla Grecia!!
Ora, chiediamoci seriamente se la vera delicatezza della situazione globale delle economie debbano essere influenzate da questi “avvertimenti” di Moody’s che, da un lato, non rispecchiano la reale diversa situazione in cui versano le economie occidentali, europee e oltreatlantico. Dall’altro, a che punto sono le idee e le proposte di riforma dei sistemi finanziari e delle agenzie di Rating, dopo la crisi perfetta del 2008?
Rimaniamo in attesa della prossima riunione del Financial Stability Board.
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